La violenza non ha diritto

 

Il 28 novembre 2016, si è svolto il convegno “La violenza non ha diritto”, organizzato dal Coordinamento Pari Opportunità della UIL MILANO E LOMBARDIA.

Il convegno è stata l’occasione per approfondire il tema delle violenze contro le donne nella coppia e nel lavoro nonché gli strumenti e i luoghi che possono aiutare le donne ad uscire dal maltrattamento di qualsiasi natura.

Di seguito pubblichiamo le sintesi dei vari interventi:

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ANGELO URSO Segretario Regionale UIL MILANO LOMBARDIA

Una risoluzione dell’ONU ha previsto che Il 25 novembre sia la giornata internazionale che celebra e richiama l’attenzione di tutti su un tema delicato, quale è quello della violenza contro le donne.

La data, come noto, trae origine dal brutale assassinio di tre sorelle Domenicane, che mentre si recavano a visitare i mariti in carcere per motivi politici furono catturate, torturate, uccise e buttate in un burrone da agenti dei servizi segreti di quel Paese.

La loro colpa era quella di essere considerate, insieme ai mariti, oppositrici del regime esistente.

Quello della violenza sulle donne è un grave fenomeno di inciviltà che, sia pure per aspetti diversi, investe tutto il mondo e credo anche, sia figlio di una società malata, incapace di educare e orientare i comportamenti.

Un aspetto incredibile delle società moderne è che all’innalzamento dei livelli di civiltà fa da contraltare una sempre più diffusa violenza, a volte figlia dell’appartenenza ad un “branco”. E chi subisce maggiormente questa spirale di violenza sono i bambini, le donne e più in generale i più deboli.

Uno degli elementi principali che caratterizza la violenza è senza dubbio la povertà, perché le statistiche ci dicono che laddove si vive al di sotto della soglia di povertà, il fenomeno è maggiore e dove c’è violenza, a risentirne maggiormente sono appunto le donne e i bambini.

Il paradosso in alcuni Paesi è che lo stato di indigenza delle donne è legato a leggi discriminatorie ed anche gli Stati più evoluti (come il nostro) registrano ancora, a parità di condizioni, differenziazioni di genere dal punto di vista delle retribuzioni e della progressioni in carriera.

Gli episodi di cronaca nera portano alla ribalta una questione drammatica e urgente: la continua vittimizzazione delle donne.

In molti, troppi casi, questi episodi di violenza culminano con l’uccisione della donna.

Il paradosso è che arrestato il presunto colpevole, si scopre che il fattaccio è accaduto “per troppo amore”, lui ha ucciso lei perché l’amava, magari tanto.

Le forme più diffuse della violenza sulle donne sono quella domestica, quella sessuale, la pedofilia e la tratta (le statistiche ci dicono anche le mutilazioni genitali e lo stupro di guerra). Poi ci sono altre forme di molestia e di violenza che si consumano per lo più nei luoghi di lavoro, che nel recente passato hanno anche contribuito all’evoluzione di un quadro normativo più attuale, anche se ancora insufficiente. Reati come il mobbing e lo stalking, che oggi contribuiscono ad arginare il fenomeno o, comunque, a sanzionare comportamenti sbagliati che un tempo non erano nemmeno immaginabili.

Va chiarito che la violenza non è soltanto fisica ma può essere anche psicologica, conseguenza di minacce, abusi, persecuzioni, coercizioni, divieti, segregazione, umiliazioni e talvolta anche economica, come negazione di disponibilità finanziarie.

Insomma la violenza può assumere le forme più disparate ed umilianti.

La stragrande maggioranza delle vittime di omicidi (due terzi si registrano tra le mura di casa) è per mano dei partners maschili. Un dato che dimostra la gravità di un problema sul quale è difficile intervenire per una serie di ragioni che costituiscono un limite (omertà, paura, dipendenza economica ecc.…) e fa sì che le violenze spesso emergono quando ormai è troppo tardi.

Le molestie sessuali nei confronti di bambine e adolescenti si verificano in tutto il mondo e i dati sono agghiaccianti per dimensioni. Le bambine o ragazze oggetto di tali abusi sono più o meno il doppio dei maschi e la maggior parte di essi si registra, anche in questo caso, in ambito familiare.

Da non trascurare il fatto che l’aumento di stranieri, con religioni e culture diverse dalla nostra (ma esistono anche casi in cui i protagonisti sono tra di noi), ha fatto lievitare nel nostro Paese il numero di casi di violenza determinati dal “controllo” esercitato dagli uomini (padri, mariti, fratelli) sulle donne del nucleo familiare. Il controllo, inteso nel senso della restrizione e della imposizione delle scelte degli uomini sulle donne, va dai semplici spostamenti per lo studio, per il lavoro o per il tempo libero, alle frequentazioni e le amicizie, alla scelta del fidanzato e quindi del marito.

Nell’ambito di questa logica, si arriva alle peggiori violenze fisiche, come la punizione di colei che ha “trasgredito” mediante percosse, talvolta tanto violente da lasciare segni permanenti o menomazioni nella moglie, figlia o sorella.

La tratta delle donne, cioè il reclutamento ed il trasferimento ai fini del loro sfruttamento (quasi sempre per prostituzione) è un ulteriore violenza che ne implica altre perché molto stesso le vittime sono anche maltrattate, torturate, malnutrite e private di cure mediche.

In altri termini è la forma moderna della schiavitù. Cosa si può fare per lottare contro la violenza? Certamente si può migliorare la cultura della non violenza soprattutto nelle scuole, ma non è una soluzione di breve periodo.

Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione, allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte offrendo sostegno e percorsi di autonomia, anche economica, che efficacia avranno gli arresti e gli ammonimenti? Non si può pensare di risolvere tutto con il carcere, che già di per se ha grossi problemi di sovraffollamento.

La prevenzione è sicuramente l’aspetto più importante e da questo punto di vista credo sarebbe stato un bene prevedere normative che mostrino un maggior interesse a fornire un adeguata formazione e a prevedere la presenza di personale dedicato per i casi di violenza familiare tra le forze dell’ordine e nei tribunali, in modo da consentire loro di distinguere tra situazioni di conflitto di coppia e di violenza.

Incrementare e incentivare l’esperienza dei centri antiviolenza che però dovrebbero concentrare la loro attenzione anche e soprattutto sugli uomini, perché è emerso che spesso gli uomini che hanno commesso violenze non hanno alcuno spazio di ascolto che possa, in certi casi almeno, essere per loro sufficiente a controllare e interrompere la loro indole violenta.

Bisogna incoraggiare la denuncia e, quindi l’assistenza, sia psicologica, da parte di operatori specializzati, sia pratica, mettendo a disposizione strumenti validi per consentire di allontanarsi da un ambiente violento. In particolare è necessario che il Governo adotti misure idonee a garantire alle vittime un tetto e una indipendenza economica.

Cosa si può fare contro la tratta?

Dietro questo fenomeno non va ignorato che c’è un rapporto distorto fra i due sessi che vede l’uno prevaricare l’altro.

C’è l’acquisto di sesso da parte degli uomini e c’è lo sfruttamento a questi fini da parte sempre di uomini. Si sta facendo tanto da parte delle autorità competenti per fronteggiare e sradicare il fenomeno, ma finché non cambieranno i rapporti di potere fra i due sessi non si potrà arrivare al successo.

 

PAOLA MENCARELLI Responsabile del Coordinamento Paro Opportunità UIL MILANO LOMBARDIA, psicoterapeuta volontaria in centri antiviolenza contro le donne e uomini.

 La violenza nella coppia interviene in una relazione interpersonale, in cui uno dei due interlocutori ritiene di possedere e poter esercitare un dominio sull’altro e si manifesta attraverso un’ostilità costante e insidiosa nei confronti della vittima, che distrugge la sua identità insinuandosi nella sua mente, fino a condurla all’autodistruzione.

convegno-violenza-01Generalmente tutto inizia quando una persona violenta e manipolatrice scopre il punto debole della vittima, la aggancia innescando un percorso che la plagia e la rende impotente, attraverso una comunicazione paradossale, squalificante, umiliante e disprezzante.

In questo modo l’aggressore mantiene la vittima in uno stato di tensione permanente con lo scopo confonderla per poterla controllare meglio.

Nella propria vita ad ognuno può capitare di trovarsi ad attraversare un periodo di vulnerabilità, quindi se si dovesse incontrare un manipolatore affettivo in quel momento di maggiore fragilità, chiunque può diventare una vittima.

Questo è un processo comune a pressoché tutte le forme di violenza relazionale come quelle nel mondo lavorativo e nel bullismo.

Secondo gli specialisti la violenza domestica si manifesta in modo ripetitivo, sotto forma di ciclo (cd. Ciclo della violenza).

I primi attacchi vengono difficilmente riconosciuti come tali, perché avvengono sotto forma di scherzo, sarcasmo e ironia che la vittima interpreta come espressione del carattere poco simpatico del partner.

In seguito, tali comportamenti si intensificano, acquistando progressivamente carattere dispregiativo e umiliante, con il fine di controllare e dominare l’altro: questa è violenza psicologica, la più diffusa e la più difficile da identificare, perché la maggior parte di queste aggressioni avviene in privato.

La tensione aumenta, mentre la vittima comincia a sentirsi confusa e a dubitare delle proprie capacità.

Spesso a questo punto irrompe la violenza fisica sotto forma di spinte, sberle, pugni, calci, ossa rotte, lanci di oggetti sulla persona.

Dopo l’esplosione violenta, l’uomo si pente e si scusa perché teme l’abbandono da parte della donna; la quale affascinata dal suo cambiamento, sceglie la riconciliazione ed il ciclo può ricominciare, aumentando di intensità.

A mano a mano, il periodo di tranquillità diminuisce e la soglia di tolleranza della vittima aumenta, al punto che troverà normale la violenza e la giustificherà, come punizione per le sue mancanze o debolezze.

Questa spirale può durare mesi o anni a seconda della soglia di tolleranza della vittima, ovviamente più tempo trascorre, maggiore sarà la difficoltà ad uscirne.

Questa dinamica di potere non sarebbe possibile se non esistessero delle condizioni sociali, spesso veicolate dai media e dalla famiglia, penalizzanti per le donne perché propongono un modello di mogli e madre devote, disponibili, rassegnate ad un ruolo subalterno, perciò se il partner scade nella violenza, la donna si sentirà una fallita e proverà vergogna, che le impedirà di rivelare la situazione e di uscirne.

In Italia esiste ancora una asimmetria di ruolo in cui il 70-72% del carico di lavoro di cura è addossato alle donne, con un miglioramento dagli anni ottanta quando era l’80%; spesso il tempo guadagnato dal lavoro di cura condiviso con il partner viene usato per la cura della casa mentre il marito gioca con i figli. Inoltre le donne spesso prediligono lavori part-time per poter svolgere tali compiti; ciò comporta, ovviamente, una dipendenza economica delle donne verso l’uomo nelle famiglie.

L’uscita dal maltrattamento è possibile ed è un momento delicato, perché la violenza può intensificarsi quando l’aggressore sente la preda sfuggire.

Per potersi proteggere è essenziale rivolgersi a centri antiviolenza, in cui lavorano persone competenti con le quali la donna può individuare le strategie idonee e protettive per mettersi in salvo.

Il primo passo di uscita deve essere volto a garantire sicurezza fisica e tranquillità psicologica alla vittima, affinché possa iniziare un percorso di riabilitazione e recupero delle proprie capacità.

Il presupposto essenziale di questo lavoro è il rispetto della centralità del potere decisionale della donna, basato sul riconoscimento del suo valore, aiutandola, quindi, a ritrovare autostima e autodeterminazione.

Riscoprendo la propria identità, la donna acquisisce anche gli strumenti per difendersi dall’aggressore e dalle incursioni dei ricordi; sarà altresì in grado di tollerare 1’angoscia da separazione, senza provare un senso di vuoto o di fallimento, ma elaborando nuove idee di futuro come per esempio un lavoro, una casa, oppure ricominciare a frequentare amicizie.

 

NADIA CEZZA Presidente della Cooperativa Sei Petali

IL REINSERIMENTO LAVORATIVO DELLE DONNE CHE ESCONO DA PERCORSI DI VIOLENZA

La Cooperativa Sociale I sei petali nasce dall’esperienza maturata dal centro antiviolenza, Associazione Casa di Accoglienza Donne Maltrattate di Milano (CADMI), rispetto alla difficoltà di trovare un lavoro dopo aver terminato il periodo di protezione all’interno del percorso di accoglienza per uscire da una situazione di violenza. Molte donne infatti, per aver salva la vita, sono state costrette ad abbandonare la propria casa, il lavoro, gli affetti, e, nella maggior parte dei casi, anche la propria città.

convegno-violenza-02Per questo motivo CADMI ha supportato, nella costituzione della Cooperativa, un gruppo di donne uscite da una prima emergenza, che sono diventate le socie fondatrici, e che hanno così deciso di realizzare un’impresa, che, partendo dalla volontà di creare lavoro e autonomia per sé stesse, possa dare anche una possibilità e una speranza ad altre donne.

 

 

I sei petali si propone come esperienza pilota in Italia, che possa dare a queste donne:

– una possibilità di lavoro e quindi una prima autonomia economica dopo il primo periodo di protezione

– l’acquisizione di nuove competenze nell’ambito specifico dell’attività della Cooperativa, che potranno essere utilizzate in successive esperienze lavorative

– la possibilità di riacquistare l’autostima perduta e quindi alimentare il percorso di empowerment nella donna

 

Di seguito si elencano le difficoltà che incontra una donna nella ricerca di un nuovo lavoro, in uscita da un percorso di violenza, ma che è ancora all’interno dell’iter processuale che ha tempi molto più lunghi del periodo di protezione:

  • Mancanza di tutela della sicurezza/privacy nell’invio del curriculum che si concretizza nei seguenti aspetti:
  1. timore che il curriculum possa arrivare a persone che si sono conosciute (e che ovviamente non sono a conoscenza di quanto accaduto) o conoscono la persona che si è denunciata
  2. timore sia nell’invio dl curriculum che poi durante il colloquio, nell’esplicitare la situazione vissuta e il motivo della ricerca di un nuovo lavoro (può accadere che si siano dovute dare le dimissioni dal precedente lavoro e di proporsi per una qualifica inferiore)
  • Mancanza di una tutela legislativa che potrebbe agevolare il reinserimento, se le donne venissero riconosciute (almeno temporaneamente) come lavoratori “svantaggiati” così come previsto dal Regolamento Comunitario n. 2204/02 lettera F, in particolare in riferimento ai seguenti punti:
  1. Sono riconosciuti lavoratori svantaggiati le persone che non abbia lavorato, né seguito corsi di formazione, per almeno due anni, in particolare qualsiasi persona che abbia lasciato il lavoro per la difficoltà di conciliare vita lavorativa e vita familiare;
  2. Sono riconosciuti lavoratori svantaggiati le persone che desiderino riprendere un’attività lavorativa dopo un’interruzione di almeno tre anni, in particolare quelle persone che abbiano lasciato il lavoro per la difficoltà di conciliare vita lavorativa e vita famigliare;
  3. Sono riconosciuti lavoratori svantaggiati qualsiasi persona di più di 50 anni priva di un posto di lavoro o in procinto di perderlo;
  4. Sono riconosciuti lavoratori svantaggiati i disoccupati di lungo periodo, ossia senza lavoro per 12 dei 16 mesi precedenti, o per 6 degli 8 mesi precedenti nel caso di persone di meno di 25 anni;
  5. Sono riconosciuti lavoratori svantaggiati qualsiasi persona adulta che viva sola con uno o più figli a carico;

 

VALERIA CAVRINI Coordinamento Pari Opportunità UIL MILANO LOMBARDIA

 

La violenza verso le donne è diventata oggetto di regolamentazione contrattuale.

Il dato è per un verso drammatico, perché ne sancisce l’entità e per un altro di rassicurazione, circa la  maggior consapevolezza che il mondo del lavoro ha verso la tutela delle lavoratrici.

Il diritto alla tutela delle lavoratrici viene scritto nell’art 24 del Jobs Act  e negli Accordi di Confindustria e di Assolombarda, per citare quelli che abbiamo esaminato.

convegno-violenza-03Nel 2007 è la Comunità Europea a parlarne, nel 2015 interviene in Italia il Jobs Act , nel 2016  sono Confindustria e poi Assolombarda e sempre nel 2016 è l’INPS a fornire le norme applicative dei congedi previsti dal Jobs Act. Molti anni , troppi, durante i quali le denunce per  violenza contro le donne sono aumentate insieme ai femminicidi. In tutti questi anni il sindacato ha tessuto una rete di cultura e di sensibilizzazione perché i temi della molestia nei luoghi di lavoro e della violenza trovassero cittadinanza e venissero in qualche modo legittimati.

Si tratta del primo fondamentale passo verso un reale contrasto alla cultura della violenza: ammettere, informare, formare sono alcuni dei passaggi che gli imprenditori hanno fatto molta fatica a compiere, nonostante la nostra insistenza, come se  l’ammettere che tra le mura delle aziende ci fossero casi di molestia fosse lesivo della loro immagine.

La Legge dello Stato ha “sdoganato” il tema, consentendo alle donne che seguono percorsi di protezione di allontanarsi dal lavoro per 90 giorni e di retribuirle, ma lascia spazi alla contrattazione per intervenire con norme integrative, come le modalità di fruizione di questi permessi e l’auspicio è che il sindacato colga questa opportunità e non abbandoni la lavoratrice in un rapporto diretto con l’azienda, cercando di migliorare ulteriormente le previsioni di legge che, per esempio, nulla dicono circa le possibilità di un possibile e , a volte necessario, trasferimento geografico della donna.

Per il sindacato un’occasione di dimostrare ancora una volta come, oltre ad essere un agente contrattuale, può ricoprire il ruolo di negoziatore di diritti come l’evoluzione della società richiede.

Per le imprese, che da anni sono sempre più attente alla loro reputazione etica, sociale  e che, in modo opportunistico o meno, introducono nelle loro policy l’attenzione al “benessere” dei loro dipendenti in sintonia con quanto impone l’azionista, un’occasione di stringere un legame tra mondo del lavoro e società.

Per le donne che lavorano, un nuovo diritto da esercitare nel caso in cui la vita le portasse d affrontare un’esperienza così tragica e un po’ di rassicurazione circa l’ascolto nuovo e consapevole che potrà ricevere nel caso in cui il posto di lavoro diventi un luogo di disagio molesto.

 

ANNA MAISTO Responsabile del Centro Ascolto UIL Mobbing e Stalking di Milano e Lombardia

 

Anna Maisto ha parlato del ruolo e delle attività svolte presso i Centri, evidenziando che l’apertura del Centro Ascolto è avvenuta nel 2014, a seguito della volontà della Responsabile nazionale UIL Mobbing e Stalking Alessandra Menelao di accreditare il Centro Ascolto nel rispetto delle convenzioni con il legale lo psicologo. In Lombardia sono presenti Centri UIL a Pavia, Varese, Milano e il Centro Lario che raccoglie Como e Lecco. A breve è in programma l’apertura di Ascolto a Monza e Mantova. Dai dati regionali del Centro Ascolto risulta che l’80% delle utenti sono donne in prevalenza over 40. Il dato rispecchia la situazione attuale in relazione ai dati ISTAT che vede le donne soggetti fragili e maggiormente colpite sia in casa che al lavoro: nei luoghi dove trascorrono più tempo.

Illustrando l’attività svolta nei Centri, la responsabile ha sottolineato come l’accoglienza non si esaurisca con il primo incontro, ma come continui con consigli ed ascolto.

Il Centro accoglie le vittime aprendo loro una finestra di umanità e sensibilità, dedicando alla persona che soffre tutta l’attenzione di cui ha bisogno dal momento in cui viene presa in carico e per tutte le azioni conseguenti.

Anna Maisto ritiene che la formazione degli operatori dei Centri sia fondamentale, ma la sola formazione non basta: vanno messi in campo azioni di sensibilizzazione e prevenzione partendo dalle scuole di ogni ordine e grado. Deve prevalere la cultura del rispetto.

Gli accordi sottoscritti sono strumenti utili per combattere la violenza nei luoghi di lavoro, perché non è un problema circoscritto alle donne, riguarda il genere. I casi concreti che Anna Maisto rappresenta sono un esempio della necessità che ognuno faccia la sua parte.

 

CLARA LAZZARINI Segretaria Regionale UIL MILANO LOMBARDIA

 

“Dedicato a LAURA BOLDRINI presidente della Camera che ha messo in rete tutte le minacce ed ingiurie ricevute, quale testimonianza della complessa e olistica questione della violenza  e della specifica violenza sulle donne”

laura-boldrini-facebook-insulti-770x770Parafrasando ed interpretando Claude Lévi-Strauss, famoso antropologo francese, occorre ricordare due costanti nella struttura sociale di tutte le civiltà:   l’esogamia e la proibizione dell’incesto, ciò sta a significare che nella società umana un uomo non può ottenere una donna se non da un altro uomo, che gliela cede sotto forma di figlia o sorella.

I matrimoni in tutte le società tradizionali non sono stati questioni di scelta individuale, ma sono stati decisi dai padri per ottenere vantaggi materiali, economici e sociali. Le società umane si sono formate, organizzate ed evolute sulla base dell’istituto sociale dello scambio delle donne da parte degli uomini.

La circolazione delle donne, o più esattamente il traffico delle donne, crea i legami di parentela e di amicizia tra gli uomini, cioè le alleanze tra i clan, le tribù e le nazioni.

Questa struttura sociale, basata sulla dominazione maschile e sull’asservimento femminile si chiama patriarcato, cioè regime dei padri. Ed è l’emblema del possesso e della proprietà delle donne da parte dei loro padri e mariti.

Di conseguenza il loro stato civile è stato storicamente analogo a quello degli schiavi, il cui lavoro è un atto obbligato e non retribuito e la cui vita ha meno dignità di quella di un uomo libero perché non vale in se stessa, ma è una merce che ha solo un valore d’uso e di scambio.

Per questo anche nei regimi tardo-patriarcali, come le democrazie in cui viviamo, la vita, la mente, la sessualità,  di una donna possono  essere svalorizzate e sacrificate più facilmente e spesso impunemente.

Esiste poi un altro aspetto: il possesso assoluto della donna è tollerato dai sistemi sociali come risarcimento della mancanza di ruolo degli uomini comuni che non hanno visibilità sociale nè potere.

Ogni rivendicazione degli “inferiori” può essere da costoro inconsciamente letta come offesa ad una “maestà privata” da lavare col sangue,

E questo ci porta al fenomeno della violenza di genere ma anche a quella sui minori  e sugli anziani;  a tutte le forme di violenza su tutte le donne di tutte le età ed in tutti i paesi che è essenzialmente rapporto di potere.

Si fa troppo poco si per contrastare la violazione dei diritti umani delle donne legati soprattutto alle guerre, agli stupri programmati, di cui le donne devono portare le conseguenze. L’ ultima perla é quella della TEOLOGIA DELLO STUPRO inventata dagli integralisti dell’ISIS. La penultima è quella della “sacra schiavitù sessuale” delle infedeli.

Nelle Migrazioni si paga il diritto di passaggio con la “vendita” del corpo.

Anche in Italia La violenza sulla donne non ha età e colpisce anche le più anziane. Al punto che 2,5 milioni di italiane over 65 ogni anno sono vittime di abusi, violenze o truffe. E i maltrattamenti nei loro confronti, fisici, psicologici o verbali che siano, sono aumentati del 150% in 10 anni.

Ad accendere i riflettori su un fenomeno frequente ma spesso taciuto sono stati gli esperti riuniti per il 60/esimo Congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) che ha proposto l’istituzione di un TELEFONO  ARGENTO.

Si tratta di una violenza privata che si configura spesso come violenza domestica finalizzata all’espropriazione di beni (pensione, danaro, gioielli….) perpetrata da anche dai familiari; violenza sessuale per le più giovani (ma non solo) omicidio legato ai primi due fattori

Ma anche violenza delle istituzioni: in campo sanitario, in campo previdenziale, in campo assicurativo e bancario

In campo lavorativo dove il  ricatto sessuale per carriera è la norma.

Estremamente positivi sono stati i recenti accordi tra Confindustria e sindacati confederali, anche se siglati in grande ritardo rispetto all’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro raggiunto il 26 aprile del 2007 dalle rispettive rappresentanze a livello europeo Business Europe, CEEP, UEAPME e ETUC.

Tra le proposte bisognerebbe attuare un  serio piano per i diritti umani delle donne con:

Studio e formazione sui modelli culturali, formazione di personale per individuare OGNI forma di violenza domestica( telefono argento),

integrazione al reddito per un livello di vita adeguato al contesto oltre che il reddito di autonomia, riconoscimento economico del lavoro di cura.

Pari opportunità lavorative, bancarie e assicurative con sanzioni, reato di complicità con il crimine organizzato per chi si avvale di prostitute, reato di crimini contro l’umanità per chi pratica lo stupro