dopo il G7 di Taormina

Nel tempo dell’urgenza permanente che obbliga a ripensare il nostro modo di vivere e di convivere con gli “altri”, attraverso scelte di fondo che comportano conseguenze durature anche per le future generazioni, ci si chiede a cosa servano gli incontri del G7, che un tempo erano diventati del G8 con la Russia di Putin poi estromessa e sanzionata e domani potrebbero ridursi a G6 per l’evidente estraneità politica e culturale di uno come Trump che assume posizioni opposte a quelle dell’Unione europea, contrarie alla sua stessa esistenza. A mio parere questi incontri servono, anzi dovrebbero essere più frequenti, meglio preparati e finalizzati per la “semplice” ragione che il mondo ha bisogno di essere complessivamente e “unitariamente” governato attraverso una interpretazione nuova e rivoluzionaria della globalizzazione, anziché mettere in discussione gli accordi faticosamente raggiunti nel recente passato, come nel caso del clima e del commercio mondiale.

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Altro che fine della storia… anziché fare il salto di qualità di una governance condivisa rispetto ai principali problemi del Pianeta e dell’umanità, il rischio evidente è quello di fare paurosi passi indietro per effetto di opposte posizioni e concezioni, destinate a generare fratture politiche, ideali e sociali, all’interno delle nostre società, in luogo del nuovo umanesimo di cui c’è bisogno per tenere insieme persone, storie e culture diverse, ineluttabilmente destinate a convivere o confliggere. Cosa ha detto di nuovo in tal senso il G7 di Taormina? Ha confermato che la visione comune sulla mobilità umana e le diverse cause che la generano -guerre, terrore, violenza, squallore, fame e povertà estrema -, non esiste. Il migration compact che l’Italia sperava di far passare, non solo per alleviare la pressione degli sbarchi via mare ma anche per andare oltre la superata logica dell’emergenza, è stato respinto dagli “alleati” americani. Talmente alleati, da agire per conto proprio di fronte a problemi di comune interesse. Insomma, come possono stare insieme, in Europa e nel Mondo, i rappresentanti dei muri e i costruttori dei ponti? Adesso si parla di rivoluzione digitale, algoritmi e intelligenza artificiale, cioè del fenomenale sviluppo tecnologico che potrà migliorare la nostra vita ma anche stravolgerla, con esiti imprevedibili per la nostra già fragile democrazia, se per tale s’intende non solo il voto con il quale si sceglie chi ci governa, ma anche come e cosa si decide, per favorire modelli di sviluppo sostenibili in grado di includere tutti. Fenomeni che mettono in evidenza l’ambiguità del trumpismo che non punta affatto a “Ripensare il capitalismo” come si augura la brava economista Mariana Mazzucato, ma di rilanciarlo in versione ultraliberista e tale da generare lo sviluppo diseguale di cui il mondo soffre.

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Basta pronunciare parole come guerra, migrazioni, clima, stragi, terrorismo e disoccupazione di massa per comprendere la complessità dei problemi di fronte alla quale la politica, in primo luogo, ma anche i diversi attori che a tutti i livelli devono governare comunità, processi e fenomeni, deve dimostrarsi all’altezza. Come siamo messi in tal senso in Italia? Con tutti i problemi che abbiamo, a qualcuno viene in mente di riproporre le elezioni politiche anticipate da indire in concomitanza con l’eventuale accordo su una nuova legge elettorale. Roba da matti, da mestieranti della politica che non vogliono nemmeno dire con chi vogliono allearsi, come se la politica fosse una sfida personale che richiede molta tattica e nessuna strategia culturalmente fondata. Non si tratta di essere pessimisti, è che siamo messi oggettivamente male, benché a pieno titolo nel famoso G7… Eppure cose da fare ce ne sono tante da qui alla scadenza naturale della legislatura, anche di quelle che costano poco, per non dire niente, ma fanno respirare l’anima. Un esempio? “Dare la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri”…

Giovanni Gazzo

Presidente UILTUCS Lombardia