ETS riduzione delle quote di emissione di gas serra

Il Parlamento europeo ha approvato, mercoledì 15 febbraio 2017, la riduzione delle quote di emissione di gas serra disponibili sul mercato del carbonio dell’UE (ETS), in modo da riallineare la politica climatica dell’UE con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (COP 21, 2015).

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Un iter cominciato nel luglio 2015 con la presentazione da parte della Commissione di una proposta di revisione della Direttiva ETS nell’ambito del pacchetto di misure per l’attuazione della proposta Junker “Unione dell’Energia”. Quella proposta aveva costituito di fatto il primo passaggio verso l’attuazione del target di riduzione delle emissioni del 40% al 2030, approvato dal Consiglio nell’ ottobre 2014. Poi, il Consiglio Ambiente del 20 giugno 2016 aveva tenuto il secondo policy debate sulla riforma dell’EU ETS, e il Parlamento aveva aperto formalmente il confronto sulla proposta della Commissione. In particolare, ecco i punti principali del pacchetto di riforma approvato, che saranno ora oggetto dei negoziati con la Presidenza di turno del Consiglio al fine di raggiungere un accordo sul disegno di legge, che dovrà poi ritornare al Parlamento per la sua approvazione finale:

  • riduzione ogni anno del 2,2% del numero di “crediti di carbonio” (quote di emissione) da mettere all’asta, e raddoppio della capacità della riserva stabilizzatrice del mercato per il 2019 di assorbire l’eccesso di quote sul mercato;
  • accrescimento del cosiddetto “fattore di riduzione lineare” – la riduzione annuale di crediti da mettere all’asta, per ottenere una riduzione delle emissioni di carbonio – del 2,2%, invece dell’attuale 1,7%, con ipotesi di aumento al 2,4% dal 2024;
  • ritiro, dal 1° gennaio 2021, di 800 milioni di quote immesse nella riserva stabilizzatrice del mercato;
  • istituzione e finanziamento di due fondi dalla vendita all’asta delle quote ETS: un fondo di ammodernamento per aggiornare i sistemi energetici degli Stati membri e un fondo di innovazione per dare un sostegno finanziario a energie rinnovabili, cattura e stoccaggio del carbonio, e a progetti di innovazione a basso tenore di carbonio;
  • istituzione di un “fondo per una transizione equa”, per mettere in comune i ricavi dell’asta allo scopo di promuovere la formazione e la rilocalizzazione della manodopera colpita dalla transizione dei posti di lavoro in un’economia “decarbonizzata”;
  • ricezione da parte del settore dell’aviazione del 10% in meno rispetto alla media del 2014-2016, per allineare gli obiettivi di riduzione a quelli degli altri settori, e utilizzo dei ricavi delle vendite all’asta delle quote del settore del trasporto aereo per azioni in favore del clima nell’UE e nei Paesi terzi;
  • creazione di un “fondo per il clima del settore marittimo” per compensare le emissioni del trasporto marittimo, migliorare l’efficienza energetica, agevolare gli investimenti in tecnologie innovative e ridurre le emissioni di C

 

Il Sistema è stato istituito dalla Direttiva 2003/87/CE e successive modificazioni (Direttiva ETS) e traspone in Europa, per gli impianti industriali, per il settore della produzione di energia elettrica e termica e per gli operatori aerei, il meccanismo di “cap&trade ” introdotto a livello internazionale dal Protocollo di Kyoto. L’ ETS è un sistema “cap&trade” perché fissa un tetto massimo (“cap”) al livello totale delle emissioni consentite a tutti i soggetti vincolati dal sistema, ma consente ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato (“trade”) diritti di emissione di CO2 (“quote”) secondo le loro necessità, all’interno del limite stabilito.

A livello europeo, l’ ETS coinvolge oltre 11.000 operatori, tra impianti termoelettrici e industriali nel campo della produzione di energia e della produzione manifatturiera (attività energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, cemento, ceramica e laterizi, vetro, carta) e dal 2012 sono inoltre inclusi gli operatori aerei; dal 2013, sono coinvolti gli impianti di produzione di alluminio, calce viva, acido nitrico, acido adipico, idrogeno, carbonato e bicarbonato di sodio e gli impianti per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio di CO2. Ad oggi, sono oltre 1.300 gli impianti italiani coinvolti, di cui il 71% circa nel settore manifatturiero; possono essere esclusi dall’ ETS ospedali e piccoli emettitori, ovvero impianti con emissioni inferiori a 25.000 tonnellate di CO2 equivalente e, nel caso di impianti di combustione, con potenza termica nominale inferiore a 35 MW, escluse le emissioni da biomassa.

Questa Direttiva ETS prevede che, dal primo gennaio 2005, gli impianti dell’Unione europea con elevati volumi di emissioni non possano funzionare senza un’autorizzazione ad emettere gas serra. Ogni impianto autorizzato deve monitorare annualmente le proprie emissioni e compensarle con quote di emissione europee (European Union Allowances, EUA e European Union Aviation Allowances, EUA A – equivalenti entrambi a 1 tonnellata di CO2 eq.) che possono essere comprate e vendute sul mercato. In misura limitata, gli impianti possono utilizzare a questo scopo, ma solo fino al 2020 ed in determinate percentuali, anche crediti di emissione non europei, derivanti da progetti realizzati nell’ambito dei meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto (Clean Development Mechanism, CDM e Joint Implementation, JI). In generale, i gestori degli impianti possono scegliere tra investire per ridurre le proprie emissioni introducendo tecnologie a basso contenuto di carbonio o attraverso misure di efficienza energetica, e acquistare quote. Il cap per il 2016 è stato 1,969 miliardi di quote e, nel periodo 2013-2020, è ridotto annualmente di un fattore lineare pari all’1,74% del quantitativo medio annuo totale di quote rilasciato dagli Stati membri nel periodo 2008-2012, e pari a oltre 38 milioni di quote. A partire dal 2021, conformemente a questa proposta di riforma del luglio 2015 approvata il 15 febbraio 2017 dal Parlamento UE, il fattore dovrebbe passare al 2,2% annuo, comportando una riduzione di circa 55 milioni di quote l’anno per rispettare un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 40% al 2030. In Italia, è il Comitato ETS – organo interministeriale di cui sono presidente il ministro dell’Ambiente e vicepresidente il ministro dello Sviluppo Economico – ad assolvere alla funzione di Autorità nazionale competente per la gestione della Direttiva ETS; del Comitato fa parte il GSE, che contribuisce, attraverso un proprio rappresentante, all’attività di ‘segreteria tecnica’ – struttura esecutiva che risponde al Consiglio Direttivo del Comitato -, e così svolge un ruolo di supporto al ministero dello Sviluppo Economico rispetto alle evoluzioni normative del sistema ETS e attraverso il monitoraggio delle policy internazionali di riferimento (COP ONU sui cambiamenti climatici).

Nel luglio 2016 la Commissione ha presentato due proposte legislative sul contributo dei settori non-ETS allo sforzo globale: una relativa alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas a effetto serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030 (‘regolamento ESR’, riguardante ad esempio le emissioni di CO2 prodotte dai trasporti, il riscaldamento degli edifici, le emissioni diverse dal CO2 da agricoltura e i rifiuti) e una concernente l’inclusione delle emissioni di gas serra e gli assorbimenti da parte dell’uso del suolo, dai cambiamenti d’uso del suolo e dalla silvicoltura nell’ambito del quadro 2030 per il clima e l’energia (‘regolamento LULUCF’), demandando agli Stati membri il compito di elaborare, sulla base di tale quadro normativo, le misure più adeguate per raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali.E’ a fronte di queste proposte che, oggi, il Sindacato europeo (CES) ribadisce una profonda preoccupazione per il divario esistente fra l’ambizione collettiva di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C – e continuano gli sforzi per limitare a 1,5°C -, così come definito dall’Accordo di Parigi e confermato dalla COP 22 di Marrakech del 2016, ed il contributo effettivo finora dato dai singoli Stati membri alla realizzazione degli obiettivi UE per il 2030. Inoltre, considerando che il prezzo della CO2 nell’ambito ETS è ormai sceso a 5 euro/t, risulta evidente che questo strumento rischia di non essere più in grado di fornire segnali di mercato (ad esempio, con penalizzazione degli impianti a gas a ciclo combinato rispetto alle centrali a carbone) o di finanziare proposte assai positive, come, ad esempio, il ‘Fondo per una giusta transizione’ della riforma ETS approvata dal Parlamento UE.

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  • Ed è per questo che, anche in sede CES, riprende quota il dibattito su ipotesi di strumenti alternativi a ETS, quale quello relativo all’introduzione di una carbon tax                (a livello mondiale).
  • Insomma, risulta evidente che le proposte relative ai settori non-ETS intendano garantire, unitamente alla proposta di revisione del sistema ETS, la realizzazione dell’obiettivo globale dell’UE di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 e degli impegni assunti dall’UE e dai suoi Stati membri a norma dell’Accordo di Parigi del 2015.
  • Oltre agli ETS, nell’agenda del Parlamento UE c’è oggi un altro capitolo di fondamentale importanza, cioè quello relativo ai settori ‘non-ETS’. Infatti, l’obiettivo di riduzione dell’80% delle emissioni UE entro il 2050, una piattaforma di investimenti “verdi” per aiutare i paesi UE a basso reddito, e il taglio della flessibilità per gli Stati nel settore dell’utilizzo dei terreni sono tra gli elementi principali della bozza di relazione del Parlamento europeo sul regolamento “effort sharing” – che fissa gli obiettivi di riduzione delle emissioni UE dal 2020 al 2030 per i settori ‘non-ETS’ (Emission Trading Scheme), come trasporti, edilizia, agricoltura e foreste -, con voto in Commissione previsto per la fine di maggio. In una riunione dell’ ottobre 2014 il Consiglio europeo aveva convenuto il quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima per l’UE e approvato un obiettivo comunitario vincolante di riduzione delle emissioni nazionali di gas a effetto serra almeno del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Nelle conclusioni, il Consiglio europeo affermava che l’obiettivo sarebbe raggiunto collettivamente dall’UE nel modo più efficace in termini di costi, solo a due condizioni : a) con riduzioni che, rispetto al 2005, entro il 2030 siano pari al 43% nel sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS) e al 30% nei settori non-ETS; b) che tutti gli Stati membri partecipino allo sforzo, in uno spirito di equilibrio fra equità e solidarietà. Nel luglio 2015 la Commissione aveva, poi, adottato una proposta di revisione della direttiva ETS al fine di attuare nella legislazione gli orientamenti forniti dal Consiglio europeo dell’ottobre 2014 relativamente ai settori coperti dal sistema ETS e di preparare il sistema per il periodo successivo al 2020. Non solo, perché le conclusioni del Consiglio europeo dell’ottobre 2014 contengono anche orientamenti specifici sui settori non-ETS (metodologia da usare per fissare gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni per il 2030, disponibilità e impiego degli strumenti di flessibilità per questi settori), centrati in particolare sulle modalità di inclusione e del cambiamento della destinazione dei suoli e della silvicoltura (‘regolamento LULUCF’) nel quadro di mitigazione degli effetti dei gas a effetto serra per il 2030, e comunque prima del 2020.
  • Come criterio generale, gli Stati membri dell’UE assegnano le quote agli operatori a titolo oneroso attraverso aste pubbliche europee. Gli impianti manifatturieri, in particolare quelli esposti a rischio di delocalizzazione a causa dei costi del carbonio (rischio di carbon leakage), ricevono una parte di quote a titolo gratuito in base a parametri di riferimento (benchmark), generalmente definiti per prodotto, armonizzati a livello europeo e quantificati in base alla performance del 10% degli impianti più efficienti per ciascun settore industriale. Gli impianti possono comunque comprare e vendere quote tra loro, attraverso accordi privati o rivolgendosi al mercato secondario del carbonio. Le quote sono contabilizzate nel Registro unico dell’Unione europea, una banca dati in formato elettronico che tiene traccia di tutti i passaggi di proprietà delle quote e consente agli operatori di compensare, annualmente, le proprie emissioni restituendo le quote agli Stati membri. Il quantitativo totale delle quote in circolazione nel Sistema è definito a livello europeo in funzione degli obiettivi UE al 2020 (-20% emissioni rispetto ai livelli del 1990).
  • Il Sistema europeo di scambio di quote di emissione (European Union Emissions Trading Scheme – EU ETS) è il principale strumento adottato dall’Unione europea, in attuazione del Protocollo di Kyoto, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori, ovvero i settori industriali caratterizzati da maggiori emissioni.

A cura del Servizio Politiche del Sociale e Sostenibilità – Ambiente
Segreteria Nazionale Confederale UIL