Ma siamo davvero sulla strada giusta? di Giovanni Gazzo

Da anni ci viene detto che siamo sulla strada giusta -ultimo in ordine di tempo il Presidente della Commissione europea Juncker-, ma i dati macro economici e finanziari, correlati alle sofferenze sociali, sono rimasti più o meno invariati e, in qualche caso, peggiorati rispetto alla condizione di crisi che ha fatto retrocedere l’Italia rispetto al 2007/8. Debito pubblico e deficit di bilancio, disoccupazione e semidisoccupazione -questa è la vera condizione delle persone occupate a tempo parziale che avrebbero bisogno di lavorare a tempo pieno-, lavoratori scarsamente retribuiti e tutelati all’interno di grandi imprese che appaltano servizi a condizioni tali da non permettere un trattamento complessivamente analogo a quello dei loro dipendenti, povertà estrema e gravi difficoltà economiche per tantissime famiglie, stanno a dimostrare che la tanto attesa svolta non c’è stata e non si vede ancora.

Una conferma del perché non ripartono i consumi arriva dalla stesso Mario Draghi quando afferma che i salari dei lavoratori italiani sono troppo bassi e non in grado di far ripartire la crescita e l’occupazione. Crescita che qualcuno si illude di alimentare con liberalizzazioni estreme come quella dei supermercati e centri commerciali sempre aperti che, oltre ad essere squilibrate a danno delle lavoratrici e dei lavoratori del commercio rispetto all’insieme dei servizi e alla doverosa distinzione tra le finalità che perseguono, non creano occupazione aggiuntiva, abbassano la produttività media oraria, favoriscono la Grande distribuzione che oggi, per chi non lo avesse ancora capito, è la sintesi di interessi industriali,commerciali, finanziari e di speculazione fondiaria che, pur di raggiungere i suoi scopi, impone anziché seguire le regole della buona concorrenza. Una gigantesca espressione di a-responsabilità sociale che si è lasciata passare con il favore di non poche associazioni che, per carenza di visione d’insieme, non hanno capito che prima di essere consumatori si è cittadini portatori di diritti e doveri da mettere in equilibrio per la coesione sociale. Come si fa a sostenere che siamo sulla strada giusta, quando il consenso riscosso dai confusi populisti italiani dimostra il contrario? Certo, questo fenomeno è conseguenza di altri fenomeni e cause che sarebbe ridicolo fronteggiare con atteggiamenti di moralistica superiorità, ma non c’è dubbio che un Paese ben governato lo fronteggia meglio di come ha fatto il nostro negli ultimi anni durante i quali invece è cresciuto e si è consolidato. A chi non piacerebbe dire che siamo sulla strada giusta? Forse, adottando un linguaggio di semplice verità e con stile adeguato per chi riveste cariche pubbliche, il governo in carica potrebbe fare qualcosa d’importante per mettere davvero il Paese sulla strada del riequilibrio sociale, attraverso una politica economica e finanziaria complessivamente coerente. A favore di chi, per esempio, il taglio strutturale del cuneo fiscale di cui tanto si parla? Taglio del cuneo fiscale e reddito di inclusione sono misure che, se ben concepite, gestite e finalizzate, possono aiutare l’Italia a mettersi davvero sulla strada di un complessivo riequilibrio, che è ciò di cui c’è veramente bisogno. La fallacia della democrazia diretta e del reddito per non lavorare emergerà più facilmente se il confronto/scontro si sposterà sui contenuti anzichè sulle persone e sulle frasi a effetto. L’Italia ha bisogno di far parlare i fatti e di rimettere al centro i valori atemporali attorno ai quali il nuovo e i cambiamenti necessari possono assumere il significato di un reale rinnovamento. Uno di questi principi/valori riportati dalla nostra Costituzione vale la pena di rileggerlo e assumerlo come idea guida da rimettere al centro e riguarda l’art 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. L’Italia si salva e si rinnova se mette in equilibrio diritti e doveri nel lavoro e per il lavoro, come non vogliono imprenditori e manager ossessionati, anche perché eccessivamente compensati, dalla logica del più alto profitto possibile nel più breve tempo possibile…

G.G.