il nostro viaggio ad Auschwitz

Come coordinamento UIL giovani abbiamo deciso alla fine dell’anno scorso di intraprendere un percorso che parte dalle celebrazioni del 27 gennaio “Giorno della Memoria” aderendo, come gruppo, all’iniziativa indetta da Cgil Cisl UIL e rivolta ai giovani delle scuole superiori sul tema della Shoah.

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Foto di Adriano Gnani

Questo viaggio in treno, con partenza da Milano per raggiungere la città di Cracovia in Polonia, è stata la base di partenza per la visita dei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Un pellegrinaggio laico per la costruzione di un progetto di libertà personale, collettivo e sociale. Il nostro gruppo ha affrontato questo cammino per rendersi conto con i propri occhi delle atrocità del passato (fino ad ora studiate solo sui testi di scuola), il viaggio è iniziato da Milano con un gruppo di quasi 700 persone, tra studenti e adulti, partiti insieme simbolicamente dal binario 21 della stazione centrale, un percorso lungo 22 ore, ma ricco di eventi come laboratori visivi (con disegni, poesie), musicali ed incontri con lo scopo di prepararsi all’esperienza che ci attendeva.  Arrivati a Cracovia e visitata la città, siamo poi partiti, il giorno dopo, alla volta del primo campo di concentramento: Auschwitz 1.  Giunti al campo, in una giornata soleggiata, ci si para davanti il tristemente famoso cancello sul cui arco è scritto arbeit macht frei”. Varcare quella soglia ha catapultato tutti noi in una realtà completamente a sé, estranea al mondo esterno: una linea netta tra la vita quotidiana di tutti i giorni e la follia del campo. Al seguito della nostra guida abbiamo iniziato il percorso attraverso le storie, dove ogni singola immagine oggetto o ricostruzione ci riportava a quegli attimi di sofferenza e dolore. Sebbene conoscessimo la triste cronaca di quegli avvenimenti, la visita ha reso reale quella sofferenza che fino ad oggi avevamo solo letto nei libri. Quella stessa sofferenza potevamo coglierla negli occhi dei nostri compagni di viaggio, un dolore carico di tristezza che in qualche caso è scaturito in un pianto a dirotto.  La fredda e lucida eliminazione dei deportati Ebrei, attraverso una “fabbrica della morte”, pianificata in ogni minimo particolare ci rendeva sgomenti di come sia stato possibile che pochi uomini potessero arrogarsi il diritto di vita o di morte di ogni singolo uomo donna o bambino, una volta superato quel cancello.

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foto di Daniele Castrigiano

Tutto questo ci aveva fatto cambiare la nostra percezione della Shoah, immedesimarsi nelle vittime, sentirne la paura, ci faceva domandare su come ci saremmo comportati noi se fossimo stati privati della nostra umanità, come avremmo reagito alla opprimente sensazione claustrofobica che Auschwitz ci trasmetteva attraverso il ripercorrere dei corridoi degli edifici, tutti uguali, stretti, consumati dal tempo, ma spettatori delle atrocità in essi compiuti, un mondo senza luce, che ogni tanto si apriva a qualche stanza spoglia che un tempo ospitava un ammasso di corpi stanchi, malandati e denutriti dai lavori forzati, dalle torture e dalla privazione totale di umanità.

Oltre alla narrazione della nostra guida, il viaggio è stato accompagnato anche da prove fisiche (foto, oggetti e molto altro) esposti a memoria del passato dei deportati, che testimoniavano il passaggio dalla loro vita precedente all’ingresso nel campo, oggetti con una storia di normalità: scarpe, valigie, pentole e tanti altri utensili comuni che fuori dal contesto sarebbero stati considerati come banali ammennicoli, ma dentro il campo ci raccontavano l’ennesimo tragico orrore perpetrato sulle vittime. Un esempio molto forte che ci ha colpito era la pratica della rasatura dei capelli delle donne al fine di ricavarne materie per reti, imbottiture e tessuti, e la vista di tutte quelle ciocche esposte non ha fatto altro che aumentare il nostro disagio di fronte a questa fredda crudeltà.

Foto di Alice Carchia

Foto di Alice Carchia

Il viaggio tra una stanza o un edificio e l’altro ci lasciava a momenti di riflessione, immersi in quel silenzio assordante che ci circondava, facendoci testimoni di una delle più grandi e conosciute atrocità della storia umana, ma questo non era che l’inizio del nostro viaggio, a pochi km da Auschwitz 1 vi è un secondo campo, quello di Birkenau, luogo diverso nell’apparenza, ma non di meno crudele e atroce.

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Foto di Eleonora Rigamonti

Presentandosi come una enorme distesa di terra (circa 10 volte più grande del primo) circondata da filo spinato e torrette di sorveglianza, le baracche di mattoni distanti l’una dall’altra aumentavano il senso di vastità trasmettendo erroneamente una sorta di apparente tranquillità. Sferzati da un vento quasi primaverile, in una giornata di marzo con qualche raggio di sole, sembrava irreale che in quel luogo, tra un laghetto stagnante e un piccolo bosco di betulle, si fossero consumate tante atrocità, ma la realtà supera spesso la percezione: i problemi di approvvigionamento di acqua erano costanti e il rigido inverno polacco non perdonava. In questa seconda parte della nostra visita, abbiamo passato in rassegna le baracche, alcune distrutte dai tedeschi stessi per provare a nascondere l’orrore, e in una in particolare, quella dei bambini, piccola e sudicia con giacigli che ospitavano su tre livelli fino a 9 piccoli sfortunati corpi (flagellati dal freddo delle pietre del pavimento, dagli spifferi del muro e dalle intemperie che colpivano il tetto), mostravano tutto l’orrore a cui ormai eravamo assoggettati. Questo percorso è stato come un pugno allo stomaco, il viaggio ci avrebbe reso più consapevoli, eravamo testimoni.

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foto di Davide Del Mastro

Come gruppo volevamo condividere insieme questa esperienza, raccontarci durante il ritorno quali emozioni aveva provocato questo viaggio, cosa ci aspettavamo e cosa ci ha lasciati essere visitatori silenziosi di questi luoghi orrendi, nella consapevolezza che per poter comprendere appieno la Shoah bisogna vivere, anche se a distanza di anni, quella tragedia, essere lì, sentire la disperazione dei deportati, e continuare a raccontare le sensazioni e le emozioni che tutto questo viaggio ci ha suscitato, soprattutto quando tutto questo sarà solo un ricordo lontano e la vita quotidiana affievolirà le emozioni. Noi non dimenticheremo. Non rinunceremo mai a raccontare la testimonianza e il ricordo di questa tragedia con lo scopo di contribuire ad evitare il ripetersi della storia poiché “anche se la peste si è spenta l’infezione serpeggia”.

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il lavoro di restituzione del viaggio attraverso i disegni oltre che questo articolo e frasi scaturite dal confronto di gruppo.